L’ULTIMA HAKA DI JONAH LOMU

Stella degli All Blacks in un'indimenticabile edizione della Coppa del Mondo. Addio ad uno dei più grandi rugbisti di ogni tempo

lomu Città del Capo, 18 giugno 1995. Davanti ad uno stadio gremito si affrontano Nuova Zelanda ed Inghilterra, la vincente contenderà al Sudafrica la Coppa del Mondo di rugby nella finalissima in programma a Joahnnesburg.
Non sono trascorsi nemmeno 2′ dall’inizio, gli All Blacks neozelandesi sono in attacco, da una mischia la palla viene passata a Jonah Lomu che avanza sulla sinistra. Il ventenne tre quarti ala di origine tongana ha uno scatto poderoso, lascia rimbalzare l’ovale sul prato e lo riprende, evita i tentativi di placcaggio di Tony Underwood e Will Carling: tra lui e la linea di meta soltanto Mike Catt che gli si frappone contro ma è praticamente un muro di argilla che si sgretola contro un carro armato, Lomu lo abbatte, gli passa sopra, corre in meta ed apre la strada alla vittoria della sua squadra che alla fine del match, con il punteggio 45-29 volerà dritta in finale. Il 24 giugno, ad Ellis Park, la fortissima nazionale in maglia nera giocherà non solo contro quindici avversari ma contro un’intera nazione. Il Sudafrica vincerà la Coppa al termine di una partita memorabile sotto gli occhi di Nelson Mandela, lucidi nel godere della gioia irrefrenabile di quella che dopo gli anni di oscurantismo dell’apartheid sta per trasformarsi nella “nazione arcobaleno”. Quella vittoria per la prima volta vedrà bianchi e neri festeggiare insieme per qualcosa che riguarda tutto il popolo sudafricano. Per il Paese è una data storica e questa impresa verrà immortalata dal cinema nel bellissimo “Invictus“, film del 2009 diretto da Clint Eastwood con Morgan Freeman e Matt Damon. Un ruolo secondario fu quello di Isaac Feau’nati, ex giocatore ed allenatore neozelandese naturalizzato samoano che interpreterà il ruolo di Lomu nella sequenza della bellissima finale.


Tornando a quel giorno, Lomu ed i suoi compagni sono la maschera della delusione ma nello sport le sconfitte servono soprattutto a crescere. Per i giovani c’è sempre tempo per vincere …
Jonah Lomu non poteva sapere che quella sarebbe stata la sua prima ed ultima finale di Coppa del Mondo. Sono trascorsi poco più di vent’anni e colui che, nonostante la breve carriera, viene considerato uno dei più forti rugbisti di ogni tempo non c’è più. Se ne è andato pochi giorni fa, il 18 novembre 2015. La malattia ai reni che lo devastava da vent’anni e che gli fu diagnosticata pochi mesi dopo la finale di Coppa del Mondo di Johannesburg alla fine gli ha fermato il cuore.
Una morte precoce, a soli quarant’anni, arrivata quasi come un fulmine a ciel sereno. Il mese scorso Lomu era in Inghilterra, testimonial dell’ottava Coppa del Mondo di rugby che alla fine nel leggendario “tempio” di Twickenam ha visto la Nuova Zelanda laurearsi campione per la terza volta battendo in finale l’Australia. Chissà cosa avrà pensato guardando Richie McCaw levare al cielo la coppa “William Webb Ellis”. Tanti rimpianti per quel trofeo sfuggito dalle sue mani vent’anni prima e forse la consapevolezza che questa sarebbe stata l’ultima occasione di veder giocare gli All Blacks. La sua ultima Haka

Jonah Lomu nella suggestiva Haka degli All Blacks

Jonah Lomu nella suggestiva Haka degli All Blacks

La sua prima Haka, Jonah Lomu l’aveva danzata con fierezza e gioia nel 1994. Perché l’antica danza Maori, il popolo dei nativi neozelandesi, non è soltanto una danza di guerra come molti erroneamente pensano. La Haka esprime felicità o dolore, esprime profonda libertà nei movimenti. È un inno alla morte ed alla vita. Gli All Blacks l’hanno resa celebre in tutto il mondo, quindici uomini che spalancano gli occhi, digrignano i denti e mostrano la lingua, battono il petto, le braccia e le cosce.

A 19 anni, un mese e 14 giorni questo ragazzone nato ad Auckland da genitori tongani e cresciuto in uno dei quartieri malfamati della grande città neozelandese è il più giovane debuttante in un test match della sua nazionale di rugby. Avversaria di turno è la Francia. E’ un po’ una sorpresa, considerata la sua scarsa esperienza in club di grande livello. Ma all’allenatore Laurie Mains non è sfuggito l’enorme potenziale di Lomu, autentico bulldozer (196 cm, 119 kg) dall’incredibile velocità (corre i 100 metri in 10 secondi ed 8 decimi). Il giovane Jonah viene inserito nella lista dei convocati per la Coppa del Mondo in Sudafrica dell’anno successivo e segna i suoi primi punti in nazionale nel match d’esordio contro l’Irlanda, vinto 43-19.
lomu (1) I primi disturbi ai reni gli vennero diagnosticati nell’agosto del 1995 ma inizialmente non ne venne compresa la gravità. La sua carriera prosegue in patria dove veste la casacca degli Auckland Blues mentre con gli All Blacks partecipa al primo torneo delle Tre Nazioni contro Australia e Sudafrica. Nel 1996 è costretto a fermarsi a causa di una risorgenza della malattia. Tra alti e bassi dovuti alle sue condizioni di salute, partecipa ad un’altra Coppa del Mondo, quella disputata nel 1999 in Galles e vinta dagli australiani. La Nuova Zelanda sarà “soltanto” quarta.
Inizia il calvario: la sua ultima gara in maglia nera la gioca nel 2002, ormai è chiaro che il suo problema ai reni è in realtà una sindrome nefrosica. Per sopravvivere deve entrare in dialisi al ritmo di tre sedute settimanali, necessita di un trapianto di rene che arriva nel 2004 grazie al suo grande amico, lo speaker radiofonico Grant Kereama.
Terminato il periodo di convalescenza torna al rubgy ma nel suo Paese non ha ancora l’idoneità fisica per scendere in campo. Si trasferisce in Europa, gioca in Galles con il Cardiff Blues. Poche gare, memorabile quella in Coppa Europa per club (Heinken Cup) contro il Calvisano nel dicembre del 2005 dove il suo ingresso in campo allo stadio “San Michele” viene accolto da una vera e propria ovazione dei tifosi della cittadina bresciana. Ma Jonah è ormai un giocatore di trent’anni e non ha più la potenza esplosiva che lo aveva fatto conoscere al mondo dieci anni prima. Chiusa anzitempo la sua esperienza gallese a causa di un infortunio alla caviglia, torna in Nuova Zelanda. Si ritira nel 2007 dopo una breve parentesi con il North Harbour. Ci ripensa nel 2009, torna per l’ultima volta alla sua amata palla ovale e lo fa in Francia, a Marsiglia. Dopo appena sette gare arriva la decisione di appendere definitivamente le scarpe al chiodo. Nel 2011 anche il rene trapiantato inizia a dare segni di cedimento. Lomu ha bisogno di un ulteriore trapianto, torna a fare dialisi ma non sarà mai reperito un donatore.

Il resto è storia recente, la sua presenza da testimonial all’ultima Coppa del Mondo e la morte quasi improvvisa di ritorno da un viaggio a Dubai con la moglie, Nadene Quirk, ed i due figli. Pochi giorni prima della sua morte, Jonah aveva annunciato la sua intenzione di avviare una raccolta fondi attraverso associazioni benefiche in favore dei bambini con problemi ai reni, un’opera che sarà portata a compimento dalla moglie così come annunciato nel profilo Facebook dell’ex All Black.
Talento precoce, una carriera breve ma intensa, contrassegnata dalla sfortuna fino al triste epilogo . Ma Jonah Lomu resterà per sempre un’icona di questo bellissimo sport, duro ma leale, in cui forza, coraggio e determinazione sono le armi vincenti. Per lui parlano le cifre, i 185 punti messi a segno in 63 partite con la Nuova Zelanda, le 15 mete realizzate in Coppa del Mondo, un record recentemente uguagliato dal sudafricano Bryan Habana. Per lui parlano i riconoscimenti, l’inserimento dal 2007 nella Hall of Fame della Federazione Internazionale di rugby e l’onorificenza dell’Ordine al Merito della Nuova Zelanda lo stesso anno. Per lui parla la statua di cera inserita tra quelle di tanti personaggi storici al museo londinese di Madame Tussauds. Per lui parla soprattutto quella meta realizzata a Città del Capo vent’anni fa, quella straordinaria combinazione di velocità, forza e cattiveria agonistica. Da quel momento il rugby non è stato più lo stesso.

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