IL MENTALESE

Pensieri e... parole

Il pensiero dipende dalle parole – ossia pensiamo nella nostra lingua abituale, italiano, inglese, dialetto ecc – oppure i pensieri si articolano nel “mentalese”, cioè una silenziosa forma di espressione del cervello che prende la sostanza delle parole soltanto quando i pensieri devono venir comunicati ad un ascoltatore?

Steven Pinker, professore di psicologia presso la Harvad University, nella sua opera “L’istinto del linguaggio” (1998) rifiuta le tesi che fanno coincidere pensiero e linguaggio.

Esistono due importanti filoni che fanno coincidere pensiero e linguaggio: il “determinismo linguistico” ed il “relativismo linguistico”, che dal primo discende.

Il determinisimo, sostenuto da Sapir e Whorf, ritiene che i pensieri delle persone siano determinati dalle categorie che la loro lingua mette a disposizione. Il relativismo, invece, fonda la sua teoria sull’idea che le diverse lingue comportino differenze nel pensiero dei parlanti.

Perché Pinker nega queste teorie, tra loro collegate? Innanzitutto per l’assenza di dati scientifici che dimostrino come sia il linguaggio a determinare il pensiero. Un altro punto “critico” delle due teorie, è il fatto che a volte ci capita di dire o di scrivere una frase che non rispecchia esattamente ciò che intendevamo dire. E questo non sarebbe possibile se fosse il linguaggio a subordinare il pensiero. A tutti sarà capitato di dire “non trovo le parole…”, “non mi viene la parola giusta…”. A volte ci troviamo nella situazione in cui  la forma linguistica che rende esattamente il concetto che abbiamo in mente non c’è, o non riusciamo a reperirla.

Un argomento ulteriore, è che quando ascoltiamo un discorso o leggiamo un testo non ricordiamo le parole esatte che sono state utilizzate ma ciò che ci rimane è la sostanza, il succo del discorso. Ci sono poi due altre prove. La prima, è che il bambino le parole le deve imparare, cioè esso apprende qualcosa che esprime un concetto che ha già in mente. La seconda prova, è che in qualsiasi lingua viva del mondo possono essere, e di fatto vengono, coniate parole nuove non solo per esprimere concetti “inediti” ma anche già esistenti.

Da un punto di vista critico, Pinker muove al “determinismo linguistico” l’obiezione di una sopravvalutazione del linguaggio, pur ammettendo che tale posizione è favorita dal fatto che le parole, essendo suoni esplicitati, sono concrete, mentre i pensieri, silenziosi, assumono una forma esteriore solo attraverso le parole appunto.

Del resto, il cognitivismo ha dimostrato per via sperimentale l’esistenza di forme di pensiero non verbale, vale a dire non sorrette dal linguaggio. Sono i casi dei bambini che pensano prima ancora di aver imparato la lingua; degli afasici; dei sordomuti, che di fatto inventano un linguaggio; e degli adulti sordi privi di qualsiasi forma di linguaggio. Vanno annoverate in questa casistica anche le scimmie, che pensano ma sono incapaci di imparare parole, e le persone che sostengono di produrre meglio il proprio pensiero pensando non per parole ma per immagini. Celebre è l’esempio di Albert Einstein.

Dunque secondo Pinker esiste qualcosa che egli chiama “mentalese” e che di fatto è la forma espressiva del nostro cervello. Il “mentalese” assume la modalità della parola nel momento in cui il pensiero deve essere espresso per venire comunicato ad un ascoltatore. Si tratterebbe insomma di una sorta traduttore pensiero-parole, dell’interfaccia che permette al nostro mondo interiore di comunicare con il mondo esterno.

 

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