I CLOCHARD, IL VOLTO DELLA POVERTÀ
Impegnati a sentire le notizie sui fatti che ogni giorno accadono, non molto distanti da noi; impegnati, i più fortunati, a conservare il posto di lavoro e ad adempiere al meglio alle loro attività quotidiane, sperando che il domani sia un copione del giorno appena trascorso, pensando che, passato questo momento, la società riprenda i fasti degli anni “80”, essendo certi di non aver dimenticato nulla, siamo ogni giorno di fretta, puntando il nostro sguardo solo al prossimo impegno.
Questa è la società di oggi, diversa da quella che era ieri e che sarà domani. A tutto questo manca una piccola, grande cosa: proviamo per un solo attimo ad andare con la vista dove la luce si fa fioca; dove le persone non passano o lo fanno di rado, non sarà difficile vedere qualche nostro simile , vestito di stracci sporchi, seduto su un giaciglio di fortuna, fatto da Lui , con le residue forze, ed avvolto in una vecchia e logora coperta raggomitolata: è un clochard.
Forse nessuno lo vorrebbe vedere o forse siamo troppo impegnati per accorgercene, ma questa presenza ci accompagna ogni giorno, uscendo di casa. Se ci fermassimo ad osservarlo, l’immagine di quest’uomo ci apparirebbe più chiara e nitida e di colpo una nuova realtà, che fino a poco tempo prima era stata esclusa dalla nostra vita, si paleserebbe a noi , facendoci scoprire un mondo nuovo. Per una volta anche costui troverebbe spazio nei nostri pensieri.
Ma che volto ha questa nuova presenza? L’anagrafica ci può dire poco. Forse solo il dialogo potrebbe essere chiarificatore, proprio quel dialogo non voluto da entrambe le parti, per motivi opposti, potrebbe dirci quello che non sappiamo, il perché sia ridotto in quello stato.
Perché la società tramite le sue tante istituzioni non ha dialogato con lui?
Come è possibile dimenticarsi di un proprio simile?
I clochard sono uomini come noi , anche loro hanno fame, sentono, soffrono il caldo ed il freddo, la solitudine e le malattie. Anche loro hanno bisogno della presenza dell’altro, di quel calore che solo la vicinanza ad un altro essere umano può dare. Eppure siamo talmente assorbiti dalle nostre vite che non percepiamo il grido d’aiuto che vorrebbe trovare voce nella persona che sembra essere stata dimenticata dal mondo, non degna di vivere in mezzo alla gente normale.
Ci dimentichiamo del nostro simile con una facilità impressionante. Lo costringiamo all’esilio su di un marciapiede, a soffrire in silenzio per non disturbarci, in balia degli agenti atmosferici ed in compagnia solo di un passato oscuro e di un futuro che non promette niente di buono.
Tutti si dimenticano di questi poveri che abitano le nostre strade da tempo ormai immemore ma non si accorgono di quanti danni questa indifferenza porti. La verità, forse, è che abbiamo paura di confrontarci con chi porta i segni del giorno passato sul suo volto, con chi è stato levigato da un destino crudele; abbiamo paura che ci sbatta in faccia una sofferenza che non potremmo reggere perché non abbiamo le spalle così forti per farlo. Sappiamo solo di certo che trovare uno spazio per lui nella nostra vita frenetica, significherebbe solo rimettere in discussione quei valori che fanno da impalcatura alla nostra esistenza.
La verità, molte volte, è come una luce: troppo forte, tanto che non essendo abituati a guardarla, perché ci accecherebbe,volgiamo lo sguardo.
Ascoltare chi ha imparato la filosofia della strada, che non si insegna a scuola ma che tempra il fisico e lo spirito di chi è costretto a seguirne le dure lezioni, giorno dopo giorno, cambierebbe la nostra visuale e addolcirebbe il nostro cuore.
Soli fino all’ultimo respiro, per essere nominati debbono essere ridotti al nulla e per fare notizia su qualche pagina di giornale sono costretti a morie senza lasciare di sé traccia alcuna, portandosi dietro una triste esperienza, e tante cose da dire che nessuno mai potrà sentire.