COME RICHIEDERE IL TFR NON CORRISPOSTO
L’art. 2120 c.c. stabilisce che all’atto di cessazione del rapporto di lavoro per una qualunque causa, e cioè tanto in caso di dimissioni che di licenziamento, il lavoratore ha diritto ad un trattamento di fine rapporto, che si calcola sommando, per ogni anno lavorato, una quota pari alla retribuzione annua divisa per 13,5. Il TFR matura solo per periodi di lavoro superiori ai 15 giorni. Salva la diversa previsione del CCNL di categoria, la base di calcolo del TFR è costituita da tutte le somme, ad eccezione dei rimborsi spese, corrisposte in costanza di rapporto di lavoro a titolo non occasionale (ad esempio, in caso di prestazione di lavoro straordinario continuativo).
Il TFR è normalmente pagato dal datore di lavoro nei tempi previsti dal CCNL applicato al rapporto di lavoro.
Qualora ciò non avvenga il lavoratore, al quale sia stato comunque consegnato il cedolino finale, può richiedere al Giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 633 c.p.c., una ingiunzione di pagamento, eventualmente munita della clausola di provvisoria esecutività qualora dimostri la sussistenza di un pericolo di grave pregiudizio nel ritardo. Nel caso non possa fornire la prova scritta del suo diritto dovrà conteggiare gli importi dovuti e procedere in via ordinaria.
Ottenuto, in un modo o nell’altro, un titolo esecutivo, il lavoratore può tentare di riscuotere coattivamente il suo credito pignorando i beni del datore di lavoro.
Qualora l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa, il lavoratore può richiedere il fallimento del datore di lavoro, nel caso si tratti di un soggetto imprenditoriale assoggettabile alla suddetta procedura concorsuale.
Fin qui l’assistenza tecnica di un avvocato legalmente esercente è, di regola, obbligatoria.
Nel caso in cui intervenga un fallimento il lavoratore, anche personalmente, può insinuarsi nel passivo fallimentare, ancorché non sia munito di un titolo esecutivo.
Il TFR rientra nell’area del privilegio di cui all’art. 2751 bis n. 1 c.c., e deve essere perciò soddisfatto anticipatamente rispetto ai crediti c.d. chirografari.
In caso di fallimento incapiente il lavoratore, infine, può rivolgersi al fondo istituito presso l’Inps dalla legge 19 maggio 1982 n 297, che garantisce il pagamento del TFR (nonché, con l’entrata in vigore del d. 80/1992, le ultime 3 mensilità di retribuzione).
A far data dal 1° aprile 2012, la domanda di intervento del Fondo di garanzia va presentata in via telematica.
Alla domanda occorre allegare, oltre alla copia del documento di identità del lavoratore, il modello sr52 sottoscritto dal responsabile della procedura concorsuale, la copia autentica dello stato passivo e, infine, la dichiarazione (rilasciata dal tribunale o dal curatore del fallimento) che non ci sono state opposizioni o impugnazioni relativamente al credito del lavoratore.
Il fondo interviene non solo in caso di fallimento del datore di lavoro, ma anche quando quest’ultimo è semplicemente insolvente.
Qualora, infatti, il datore di lavoro non sia assoggettabile a tale procedura, o non sia dichiarato fallito per l’esiguità del credito azionato (cfr. Cass.,1607/2015) l’Inps è comunque tenuto al pagamento del TFR purché il lavoratore abbia preventivamente esperito, senza esito, almeno un tentativo di esecuzione forzata.
Possono chiedere l’intervento del fondo di garanzia tutti i lavoratori dipendenti da datori di lavoro tenuti al versamento dei contributi, gli apprendisti, i dirigenti d’azienda, nonché i soci delle cooperative di lavoro.
Il diritto al pagamento del TFR si prescrive in 5 anni che decorrono dalla data di cessazione del rapporto di lavoro (art. 2948, comma 5, c.c.).
La domanda al fondo di garanzia dell’Inps si prescrive in 5 anni che decorrono dalla chiusura della procedura fallimentare, ovvero dalla data del verbale di pignoramento negativo.