IL PROCESSO DI PIROLISI

Spieghiamo il processo di pirolisi applicato ad una stufa per il riscaldamento.

stufa piroliticaLa pirolisi avviene tramite un processo di degradazione termica e, in assenza di ossigeno, e con particolari condizioni di  pressione e temperatura, trasforma la materia organica presente nei rifiuti in gas combustibile. La temperatura adatta è  compresa tra i 400 e i 900 °C.

Ci concentriamo oggi, nello spiegare un tipo di pirolisi che ci interessa, in cui si utilizzano biomasse vegetali (pellet, scarti di potatura, gusci di noci, carta ba buttare ecc.) che non solo genera calore ma produce anche biochar. Spieghiamo  quindi il processo di pirolisi di una stufa per il riscaldamento.

La pirolisi può trasformare qualsiasi sostanza secca, con umidità massima del 30%, in gas. In pratica, dopo un innesco iniziale, le biomasse introdotte all’interno della stufa (ghiande, foglie, corteccia, rametti ma anche pellets di legno) iniziano a produrre spontaneamente un gas infiammabile.

Le biomasse terminano di bruciare, mentre il gas da esse prodotto, continuano a sviluppare calore. Un calore notevole e senza emissione di fumi dannosi. Ciò che rimane al termine si chiama biochar, prodotto naturale della pirolisi; la sua particolare composizione lo rende idoneo all’assorbimento di CO2 e gas responsabili dell’effetto serra, che vengono letteralmente estratti dall’atmosfera e fissati al suolo in maniera stabile. La CO2 catturata viene trattenuta, contribuendo a rendere il Biochar un substrato nutriente che riduce il fabbisogno di fertilizzanti, migliora la resa del suolo e rende più efficienti le colture tradizionali.

In sintesi, il Biochar incrementa i raccolti, migliora la qualità del terreno e riduce l’impatto ambientale dell’agricoltura.

Il biochar si presenta come scarto della pirolisi così come il carbone, scarto della combustione del legno. Può essere utilizzato anche per organizzare un barbecue.

energia alternativa

Cenni di storia 

La pirolisi è conosciuta fin dai tempi degli Egizi come tecnica per la produzione di carbonella da legno. I carbonari, nelle “carbonaie” rese famose da Cassola, utilizzavano il gas di pirolisi come avvisatore.

Finchè il processo pirolitico era attivo, i gas pirolitici prodotti mantenevano in tensione la volta della carbonaia, disperdendosi in aria da un piccolo foro nella volta stessa; a processo concluso quando tutta la legna era convertita in carbonella, la pressione del gas veniva a mancare e la carbonaia implodeva su se stessa.
Al contrario,i moderni impianti pirolitici, hanno come produzione primaria proprio quel gas per altro dimostratosi un ottimo combustibile.
Un più recente esempio sono i forni autopulenti che ritroviamo nelle cucine delle nostre case e dove il processo pirolitico gassifica le incrostazioni grasse sulle pareti del forno facendole sparire per poi disperderle in aria all’apertura del forno.

Il primo progetto che ha visto come protagonista una stufa pirolitica, è iniziato 7 anni fa ad Haiti con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni rurali dei paesi in via di sviluppo, riducendo nel contempo la deforestazione, causata dall’uso di legna sia per cucinare che per produrre carbone. Fu Nathaniel Mulcahy della WorldStove, azienda tortonese di progettazione e consulenza ingegneristica, a inventare e brevettare nel 2009 la Lucia Stove, una stufa a bassissimo costo originariamente pensata per i mercati poveri del terzo mondo.

Sta di fatto che questa stufa potrebbe essere una valida soluzione anche per noi. Per costruire una stufa pirolitica puoi seguire questa guida.

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