IL CALCIO: PERCHÈ È COSÌ IMPORTANTE?
Sono passati più di 20 anni da quando ho messo piede per l’ultima volta in uno stadio. Era l’ 8 Luglio del 1990.
La partita? Argentina – Germania, finale di ITALIA ’90, il mondiale di calcio che tornavamo ad ospitare dal lontano 1934. Il primo che la Germania affrontava unita dopo il crollo del muro di Berlino. Lo stadio? L’Olimpico di Roma.
Ho sempre fatto il tifo per il Napoli, anche se sono nato in provincia di Roma e ho sempre abitato a Roma in una zona che, colmo dei colmi, è vicinissima allo Stadio Olimpico.
Nel decennio calcistico 1970/1979 il Napoli aveva vinto una Coppa Italia nel 1976.
Ma con l’arrivo degli anni ’80 tutto era destinato a cambiare.
Infatti con l’arrivo di Diego Armando Maradona nell’estate del 1984 e di Bruno Giordano in quella successiva, il Napoli si avviava verso un quinquennio pieno di soddisfazioni per la propria tifoseria: scudetto e coppa Italia nel 1987, coppa Uefa nel 1989, ancora scudetto nel 1990 e supercoppa italiana nel 1991.
Nella parabola discendente di questo percorso pieno di vittorie, arrivò il Mondiale del 1990.
Maradona e il Napoli non erano più tanto simpatici. Troppe vittorie, troppe polemiche, troppo di tutto.
E allora se il diavolo fa le pentole, per i coperchi rivolgetevi agli uomini.
Infatti il caso volle che l’Italia mundial si ritrovò a dover giocare la semifinale del torneo a Napoli.
E guarda caso proprio contro l’Argentina di Maradona!!! (per inciso va ricordato che l’Argentina era la squadra campione uscente).
L’Italia intera cominciò a dubitare che i napoletani potessero tifare Italia mentre sull’altra sponda giocava il loro idolo. La polemica infuriò per giorni.
In un San Paolo straordinario e tricolore l’Italia fu eliminata ai rigori e si dovette accontentare del 3° posto battendo l’Inghilterra nella finalina giocata a Bari.
Non ricordo quanti mesi prima avessimo acquistato i biglietti per la finalissima del Mondiale.
Sta di fatto che la sera dell’ 8 Luglio, col morale un po’ a terra, come quello di molti altri tifosi italiani, ci incamminammo verso lo stadio, certi comunque, di poter assistere ad una bella partita.
Avevamo i biglietti e non ci importava di arrivare molto prima dell’inizio così ce la prendemmo comoda.
Le squadre erano già in campo quando, mentre salivamo i gradini della curva, sentimmo un chiasso assordante.
L’intero stadio stava fischiando la compagine argentina, proprio mentre risuonavano le note dell’inno nazionale.
Ma come? Siamo il paese organizzatore e, soltanto perché la squadra del cuore è stata eliminata, manchiamo così di rispetto verso chi ha avuto il “merito” di farlo? Poco elegante o no?
Certo, per il gioco espresso, l’Argentina “non” meritava la finale, sicuramente è stata baciata dalla fortuna, ma chi ha sbagliato i calci di rigore decisivi sono stati 2 giocatori italiani, loro, gli argentini, non hanno fallito.
Altrettanto poco elegante, sicuramente giustificabile, assai inconfutabile fu anche l’espressione colorita del “pibe de oro” che apostrofò quei fischiatori irrispettosi con un esplicito “figli di puttana” in diretta mondiale.
L’immagine fece il giro del mondo.
Da allora non ho più messo piede in uno stadio e “il gioco più bello del mondo” ha perso credibilità. Certo, continuo a vedermi le partite ma troppi interessi, troppi soldi, ruotano intorno ad esso e i soldi rovinano sempre tutto.
Per vincere, oltre al saper giocare, c’è bisogno di una buona dose di fortuna. Ma questo vale per qualsiasi cosa.
Ma allora quali sono le grandi rivelazioni che ci possono far ascoltare i grandi “campioni” del calcio e gli altrettanto grandi“campioni” dell’opinionismo?
Non credo che ci sia molto da aggiungere a tutta una serie di “ovvietà” che dalla prima giornata di campionato si replicano ininterrottamente di anno in anno, in linea con la fortuna o la sfortuna, cambiando solo i protagonisti.
Gli stessi calciatori, allenatori, presidenti, agenti e quanti altri ruotano intorno al pallone, sembra che non abbiamo molto altro da dire……finché sono tesserati!
A scusante di ciò va detto che praticamente gli eventi sono sempre gli stessi (una partita di calcio) e quindi quali sono gli “alti valori concettuali” che un evento del genere deve esprimere?
E i suoi interpreti principali quali “alti valori concettuali” debbono spiegare?
A cosa serve tutta questa importanza per un mondo effimero che gli stessi protagonisti, una volta smessi i panni del calciatore, non si esimono dal denunciare?
E’ l’enorme risonanza che eventi o semplici discorsi calcistici hanno nell’opinione pubblica il dato più sconcertante.
E’ il poter morire solo perché si è andati a vedere una partita che è allucinante.
E’ leggere insulti, di qualunque tipo, rivolti agli avversari che non è logico; cosa succede facendo questo? la propria squadra gioca meglio? e gli avversari che fanno? si lasciano intimorire da un insulto? Non sarebbe meglio limitarsi ad incitare i propri giocatori e, al limite, fischiare gli avversari?
E’ il comportamento dei calciatori, il più delle volte irreprensibile, che contribuisce a surriscaldare teste già di per sé surriscaldate.
E’ il protestare con l’arbitro dopo una decisione presa nell’arco di un secondo che non serve a niente. Non si può tornare indietro (salvo alcuni casi in cui l’arbitro chiede conferma al suo assistente).
E’ il vedere e rivedere alla moviola azioni, che in molti casi, anche con quell’attrezzo tecnico, non si riescono a decifrare, che non porta da nessuna parte. Non si può ripetere l’azione.
Ed è veramente penoso constatare che soltanto i comportamenti violenti e antisportivi vengano esaltati dai giovani…o almeno così sembra.
Contrariamente a ciò mi viene in mente un episodio di grande sportività che ha come protagonista un calciatore italiano che militava nel campionato inglese: Paolo Di Canio.
Non ricordo precisamente quale fosse la partita, ma poco importa.
Sta di fatto che Di Canio si accorse che il portiere della squadra avversaria era rimasto a terra, colpito in uno scontro di gioco, e afferrò la palla con le mani interrompendo l’azione che avrebbe potuto concludersi con una segnatura per la propria squadra.
Certo, a detta anche dello stesso calciatore, non è diventato un santo per questo, così come non era un diavolo prima, ma sicuramente ha dimostrato di essere un “uomo vero”, e di avere quelli che vengono sbandierati come “valori” non soltanto a parole, rendendosi protagonista di un esempio da tramandare ai posteri.