LA NATURA SUBORDINATA ALLA LOGICA DEL PROFITTO
La tematica in questione assume, ad oggi, un’importanza capitale se si tiene conto di come l’occidente abbia subordinato la Natura ad una fredda e spietata logica del profitto. Esercitando per un attimo l’immaginazione, in maniera un poco originale, ci si può raffigurare nella mente un muro che si frappone tra due indicativi momenti della storia umana: gli albori della umanità da una parte e la rivoluzione industriale, cronologicamente attestata intorno alla metà del XVIII sec, dall’altra. Questo spartiacque segna un netto cambiamento, sia per ciò che concerne gli aspetti economici, quanto più per quelli antropologici. Infatti, se prima dell’avvento della rivoluzione industriale l’uomo viveva in simbiosi con la natura a prescindere dal fatto che essa fosse ostile o amica, con l’industrializzazione l’uomo iniziò a concepire la natura non più come una genitrice pronta a dispensare vita, ma come una risorsa da dominare e manipolare allo scopo di incrementare guadagni e comodità. Attraverso il suo pensiero, il filosofo inglese Bacone, diede l’avvio ad una profonda critica al sapere tradizionale.
Tale autore fece del sapere scientifico di matrice aristotelica e del metodo scientifico squisitamente sperimentale, i due strumenti più efficaci per permettere all’uomo di conoscere più approfonditamente la natura e, conseguentemente di dominarla. Catapultati ai giorni nostri e osservando alcuni dati, non si può che constatare come la natura sia stata, ed è tutt’ora, oggetto di strumentalizzazione per mezzo della tecnica.
Lo scopo è quello di ottenere guadagni senza tener conto dell’antico rapporto che sussisteva tra l’uomo e la natura
Prendendo in riferimento gli allevamenti intensivi su scala mondiale, secondo alcuni studi condotti dalla FAO, quegli intensivi di stampo industriale è stato dimostrato che siano tra i maggiori responsabili dell’aumento della temperatura globale, circa il 51% di metano e anidrite carbonica vengono emessi dai suddetti allevamenti.
Il consumo pro capite di carne, in paesi come Stati Uniti e Australia, si aggira intorno ai 120 Kg a discapito di quelle popolazioni che vivono in una costante e deplorevole mal nutrizione. Bisognerebbe riportare alla luce quell’antica amicizia tra l’uomo e la natura, tornare a considerare quest’ultima non come una periferia di se stessi, ma come parte integrante di ogni essere umano. Al contempo è necessario rivalutare il peso attribuito alla tecnica considerandola come mezzo utile per migliorare la qualità di vita di tutti gli uomini e non più come fine destinato all’accumulo di denaro. Parafrasando il filosofo idealista Schelling possiamo dire: l’uomo in armonia con se stesso e con il suo prossimo può essere considerato il più grande e maestoso Miracolo della Natura in seno ad una unità imperscrutabile.