SHARING ECONOMY

ECONOMIA DI CONDIVISIONE

Si chiama “sharing economy” tradotto in italiano è economia della condivisione.

In buona sostanza è un modello economico basato sulla condivisione di quello che non è utilizzato appieno dal proprietario (spazi, capacità personali, fino a tutto ciò che può produrre benefits, economici e non).

Solitamente, se ne parla soprattutto a proposito delle relazioni/scambi di mercato ‘Peer to Peer’ (P2P), ma eguali opportunità esistono anche nel campo anche ‘Business to Consumer’ (B2C)”

Come spesso accade ai fenomeni che godono di improvviso successo, sotto lo stesso cappello convivono realtà molto diverse tra loro.

A questo punto è utile individuarne le caratteristiche di un business sharing:

1.  la condivisione, l’utilizzo comune di una risorsa, intesa come profilo distinto dalle forme tradizionali di reciprocità, redistribuzione e scambio.

2.  la relazione peer-to-peer: la condivisione avviene tra persone (o organizzazioni), a livello orizzontale e al di fuori di logiche professionali, con una caduta dei confini tra finanziatore, produttore e consumatore.

3. la presenza di una piattaforma tecnologica, che supporta relazioni digitali, dove la distanza sociale è più rilevante di quella geografica e la fiducia è veicolata attraverso forme di reputazione digitale.

Un  esempio di quanto sudetto è blabla car, però ce ne sono tantissimi anche se spesso poco conosciuti: Airbnb,Housetrip , 9Flats , Wimdu con cui ci si scambia casa e/o si cercano locatari nelle varie parti del mondo, homelink che oltre allo scambio appartamenti permette scambio di servizi, vayable e Friend of Friend Travel che offrono supporto e informazione  ai turisti, Waze con cui si condividono le informazioni sul traffico in estemporanea e così via tanti altri.

Alla sharing economy si possono ricondurre  anche il bartering, inteso come baratto tra privati (swapping) o tra aziende, in un’ottica di reciprocità diretta o indiretta e il crowding, quando più persone contribuiscono alla creazione di un bene o un servizio, attraverso risorse creative (crowdsourcing) o finanziarie (crowdfunding).

A questo si lega strettamente l’oggetto della condivisione: beni fisici (mezzi di trasporto, dalla bicicletta alla macchina, fino alle barche e i tir ma anche vestiti, accessori, telefoni ecc.) o prodotti digitali (libri, film, canzoni, spettacoli), spazi (case e luoghi di lavoro/coworking), tempo/competenze, idee e denaro.

Segue il tempo: l’utilizzo condiviso può essere sincrono (es. divido la mia casa con un’altra persona) o differito (lascio la mia casa temporaneamente a un’altra persona).

La proprietà è il criterio più controverso: il bene oggetto di condivisione può restare al proprietario (es. offro ospitalità a uno sconosciuto), cambiare proprietà (baratto la mia borsa con un paio di orecchini) o essere di proprietà di una parte terza rispetto alla rete tra pari (es. case automobilistiche e amministrazioni pubbliche che offrono servizi di car sharing).

Infine, il valore dei beni e servizi condivisi può essere determinato in denaro oppure attraverso crediti/monete complementari o, ancora, rientrare nell’ambito di una relazione di dono (come nel couchsurfing).

Il prezzo può tenere in considerazione elementi spesso esclusi dalle logiche di scambio, come l’impatto inquinante di un oggetto non utilizzato.

La crescita della sharing economy sta ponendo interessanti questioni.

Innanzitutto, ci si domanda se questo modello sia in stretta relazione con la legato alla crisi attuale oppure se risponda a un ripensamento più strutturale dei rapporti tra economia e società.

Uno dei dibattiti più accesi riguarda il rapporto tra distruzione di valore nei settori tradizionali e creazione di nuovo valore: l’ambito in cui questa ambivalenza si sta ponendo in forma più evidente è quello dei servizi di ospitalità (come Airbnb), che stanno mettendo in difficoltà il comparto alberghiero, mentre incidono positivamente sui consumi culturali e la ristorazione. Una possibile via d’uscita potrebbero essere forme di partenariato tra aziende tradizionali e piattaforme collaborative; in Italia stiamo assistendo alle prime sperimentazioni con Barilla-Gnammo e Adidas-Fubles.

Non da ultimo, la sharing economy sta ponendo sfide inedite al sistema regolativo.

Le vecchie regole spesso non si applicano alle nuove dinamiche sociali ed economiche e rischiano di soffocare le innovazioni sociali e di mercato.

Sono ormai numerose le iniziative prese a livello locale per risolvere le questioni sollevate dall’economia della condivisione nei singoli comparti, mentre inizia a farsi sentire la richiesta di interventi di più ampio respiro. E’ su questo terreno che si misurerà la forza di quello che si auto-definisce “movimento” della sharing economy.

Certo è alquanto improbabile che la sharing economy sostituisca i modelli tradizionali, come sperano i suoi sostenitori, ci si può aspettare che – nei prossimi mesi – le piattaforme di condivisione delle risorse possano rispondere a bisogni e desideri finora latenti e, aspetto forse più interessante, favorire l’innovazione dei modelli esistenti, sia profit che non profit. E’ dunque importante aprire tavoli di confronto, che coinvolgano anche la pubblica amministrazione, per valorizzare le opportunità offerte da questa prospettiva.

 

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